Mostra Personale di Michela Zasio

Fabbrica del Vapore - Spazio V&A

2 ottobre - 24 novembre 2019

Dal deserto alla tela
Memorie di Palmira

PREFAZIONE

Testo di presentazione di Andrea Vento

In questa recente epoca di sostanziale disimpegno politico e culturale, una data ha rappresentato un momento di svolta per alcuni. I più non ricordano ormai il 12 marzo 2001: esattamente sei mesi prima dell’atroce attacco alle Torri Gemelle a New York, i Talebani afghani, per ordine dell’enigmatico Mullah Omar, distruggevano i Buddha di Bamyan, compiendo un crimine contro l’umanità, alla stregua dei massacri a danno della popolazione civile che ogni guerra ha sempre comportato. La furia iconoclasta dell’estremismo sunnita non si era mai espressa in tale radicale maniera, ed a farne le spese furono queste colossali sculture, rimaste intatte per ben 12 secoli di dominazione islamica. Il sincretismo dell’Impero Kushana, che aveva eretto la prima di queste statue nel III secolo d.C. e che nella propria iconografia buddhista univa elementi e valori indiani, persiani ed ellenisti, mantenendo relazioni anche con Roma e la Cina, rappresentava un altissimo e antico modello multiculturale. Polverizzare queste statue creò quindi un forte impatto emotivo in numerosi intellettuali occidentali, e rese condivisibile nel dicembre dello stesso anno l’intervento militare volto a sradicare l’Emirato islamico dell’Afghanistan. Lo stesso scrivente decise di partecipare a varie missioni di cooperazione civile e militare a Kabul e ad Herat negli anni dal 2005 al 2008. Credevamo, forse a torto giudicando la situazione 15 anni dopo, che aiutandone la popolazione civile avremmo potuto cambiare il destino dell’Afghanistan. Ancora oggi le grandi nicchie rimangono purtroppo vuote, nonostante lo sforzo del Governo del Giappone e la promessa dell’Unesco di ricostruire le statue, nonché numerosi altri progetti minori, anche fantasiosi, come la riproduzione dei Buddha attraverso degli ologrammi. Un’azienda italiana, la Trevi di Cesena, fu invece coinvolta nel consolidamento delle pareti delle nicchie. Si pensava di aver quindi assistito al più grande crimine contro il Patrimonio, quando nell’estate 2015 in Siria, lo Stato Islamico decise di radere al suolo il Tempio di Bel e numerosi altri tesori archeologici nella città di Palmira, antico centro carovaniero che nei primi secoli dopo Cristo rivaleggiò con Roma nel controllo del Vicino Oriente. Fu quello un tempo eccezionalmente ricco di contaminazioni per l’Occidente quando Roma fu interessata da sincretismi e contaminazioni orientali (ad esempio orfiche, pitagoriche, isiache, mitraiche ed infine siriache). La campagna per l’assegnazione dell’EXPO 2015 portò nuovamente lo scrivente in Siria, permettendo nel 2007 un breve ma eccezionale detour a Palmira, con la visita ai Templi che ora non esistono più. Vi è quindi da porsi dei quesiti ed aprire gli occhi su alcune contraddizioni della comunicazione moderna. Le varie sigle del terrorismo di matrice radicale islamica dell’ultimo quarto di secolo hanno saputo utilizzare sapientemente i mezzi di comunicazione di massa così come le reti sociali, amplificando la portata dell’atto eversivo. Con la spettacolarizzazione degli attentati, con la penetrazione nei luoghi più “normali” del nostro vivere quotidiano, con le esecuzioni filmate dei prigionieri civili, ed infine con la distruzione del patrimonio culturale ed archeologico dell’Umanità. Con tutte queste azioni, viene obliterato l’insieme dei valori fondanti della cultura e della libertà occidentali. La distruzione del Tempio di Bel colpisce la Triade delle divinità palmirene Baal, Yarhibol (il Sole) e Aglibol (la Luna). Se i romani assimilavano l’antica divinità siro-fenicia Baal (collegata a prosperità e fertilità) a volte con Saturno, a volte con Giove, i cristiani prima e gli islamici dopo hanno visto in lui un potentissimo demone. Quando ho potuto ammirare i recenti lavori di Michela Zasio dedicati ai templi palmireni distrutti dall’ISIS, non ho avuto dubbi sulla necessità di produrre ed ospitare questa bella mostra presso lo Spazio V&A alla Fabbrica di Vapore di Milano. Una mostra che potremmo dedicare a Khaled Al-Asaad, archeologo e custode del Parco Archelogico di Palmira che fu ucciso dai sicari dell’ISIS per non aver voluto rivelare dove aveva nascosto importanti cimeli. Forse non a caso, il volto di Al-Asaad è ritratto in un bel murale del perimetro della Fabbrica del Vapore.

Testo critico di Carlo Zasio

Attraverso il suo lavoro Michela Zasio, artista che ha indagato nel suo percorso creativo i simboli del Mediterraneo, arriva a restituirci l’essenza di Palmira, inalterata e incorrotta dalla furia iconoclasta che in questo luogo ha raggiunto il suo apice. Lunga e triste è infatti la lista di beni, opere e siti archeologici che hanno conosciuto la distruzione intenzionale dell’uomo, esplosa sul finire del secolo scorso. La demolizione dei Buddha di Bamyian avvenuta in Afghanistan il 12 marzo 2001 segna l’inizio di un’epoca in cui la distruzione del patrimonio culturale nelle aree di crisi non è più un danno collaterale di un conflitto armato, bensì il preciso obiettivo dell’azione di chi attraverso la devastazione di monumenti e reperti persegue una duplice finalità: azzerare le identità non riconducibili alla propria e provvedere, attraverso il traffico di beni culturali, al finanziamento delle proprie attività criminali. Una strategia che ha i suoi primordi nel conflitto yugoslavo, con il rogo della biblioteca di Sarajevo, il bombardamento di Dubrovnik o la demolizione del ponte di Mostar, dove però è il primo dei due aspetti a prevalere nell’assecondare l’azione di pulizia etnica promossa dalle diverse fazioni belligeranti.

A ognuna di queste distruzioni, tuttavia, è corrisposto un moto dell’anima che attraverso il gesto creativo ha stigmatizzato lo sfregio compiuto e ha reso immortali tali luoghi. Le note del violoncellista Vedran Smailovic che risuonavano tra le rovine della Vijecnica di Sarajevo il 1 settembre 1992 hanno toccato corde profonde, le stesse che vengono smosse in chi osserva le monumentali architetture del tempio di Bel impresse nella tela. E contempla l’eternità della creazione umana.

A ognuna di queste distruzioni, tuttavia, è corrisposto un moto dell’anima che attraverso il gesto creativo ha stigmatizzato lo sfregio compiuto e ha reso immortali tali luoghi. Le note del violoncellista Vedran Smailovic che risuonavano tra le rovine della Vijecnica di Sarajevo il 1 settembre 1992 hanno toccato corde profonde, le stesse che vengono smosse in chi osserva le monumentali architetture del tempio di Bel impresse nella tela. E contempla l’eternità della creazione umana.